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IL GIOCO NELLA TERAPIA PSICOMOTORIA
Nello sviluppo del bambino, la motricità è uno dei principali integratori delle sue potenzialità biopsichiche ed esprime quindi le sue caratteristiche individuali nelle relazioni interpersonali. Le attività proposte tendono a favorire il miglioramento dell’utilizzo del proprio corpo ed un miglior controllo sul progetto motorio.
Tale intervento si rivolge non solo all’età evolutiva, essa trova anche alcune sue specifiche applicazioni nell’adolescenza, nell’età adulta e nella terza età, a persone che presentano turbe del comportamento, delle relazioni interpersonali per le quali un approccio motorio-corporeo, che utilizzi i canali non verbali della comunicazione, è particolarmente indicato; a coloro i quali manifestino difficoltà di esecuzione motoria e di organizzazione gestuale; a coloro che sono affetti da problemi di attenzione, concentrazione, memoria, che sfociano in particolari problemi di adattamento e di apprendimento scolastico.
Il gioco, in terapia psicomotoria, rappresenta il modo più naturale di adattarsi in un contesto, quale quello terapeutico, del bambino con l’adulto (terapeuta) all’interno di uno spazio, appunto quello terapeutico, nel quale i due “attori” ( bambino ed adulto) devono trascorrere il “tempo” stabilito.
Il gioco si fa con le persone e con gli oggetti. Per giocare è fondamentale sviluppare abilità cognitive, motorie, verbali… E’ l’occasione in cui il bambino impara, rafforza tali abilità. Al contrario, l’assenza del gioco, cioè impossibilità a trarre piacere dalle proprie azioni, esprime in genere un problema, un conflitto, la difficoltà.
Nella terapia psicomotoria, lo scopo terapeutico non è quello di insegnare al bambino a saper meglio utilizzare gli oggetti, ma di insegnargli a giocare, aiutarlo nello sviluppo sociale. “ I bambini normali vengono al mondo con la motivazione e la capacità per cominciare a stabilire un’immediata relazione sociale con chi li cura”.
Con il tempo che passa, le abilità sociali si arricchiscono enormemente ed il bambino crea altre relazioni: con altri bambini, con gli adulti, ecc. Durante il corso dello sviluppo si assiste anche alla capacità di risolvere conflitti, di prendere iniziative, di regolare il comportamento sulla base delle attese sociali.
Nel gioco il bambino s’indirizza verso l’evoluzione di abilità motorie, cognitive, linguistiche. Compaiono i giochi di movimento, di esercizio, poi i giochi simbolici, di finzione, fino a diventare sempre più sociali trasformandosi in giochi di regole e di squadra.
Queste conquiste, una volta comparse, non lo lasceranno più perché il processo prosegue ininterrottamente trasferendosi ad altre generazioni.
Le radici del gioco coinvolgono due aree fondamentali:
– area sociale, che nasce dall’interazione con la madre e con i familiari, da cui il bisogno prolungato, nella specie umana, di cure parentali. Il gioco corporeo rappresenta una delle prime forme ludiche di quest’area che promuoverà nel piccolo la capacità di instaurare e mantenere relazioni interpersonali, di gruppo con gli adulti e con i propri pari.
– area conoscitiva, che deriva dalla curiosità e dall’esplorazione grazie alle quali il bambino esplora le caratteristiche e funzioni degli oggetti e che porta alla sperimentazione, alla riflessione e all’apprendimento. Non sempre è facile distinguere il gioco dall’esplorazione. L’esplorazione è un’attività attraverso la quale un oggetto viene reso familiare e lasciato in sospeso, mette in gioco tutti i moduli comportamentali a disposizione del soggetto. Nel bambino, il comportamento esplorativo viene visto come un’attività in cui l’ oggetto, prima di essere utilizzato in senso ludico, viene “consumato”, “assaggiato” in tutte le sue forme e caratteristiche mediante alcuni schemi d’azione che possiede a seconda della tappa evolutiva.
La terapia psicomotoria la si può considerare come una pressione selettiva sulla storia naturale del gioco infantile, che permette il tracciarsi di alcune “piste di sviluppo” potenziali, che sono solo abbozzate, o difficilmente percorribili a causa della condizione patologica del bambino. In tanti casi, comunque, il gioco spontaneo rappresenta l’elemento più tangibile del processo evolutivo del bambino e motiva gran parte delle sue azioni dalle quali si tracceranno le “piste”.
Se la ludicità nella terapia psicomotoria è un indicatore di salute neuropsichica, lo sono anche la varietà e la vastità del repertorio ludico. In esso riscontriamo le radici dello sviluppo neuropsichico. In qualunque bambino sano esiste una tendenza a privilegiare un certo tipo di gioco, senza escluderne altri. Invece, in alcuni disturbi dello sviluppo il privilegio diviene esclusivo rispetto alle altre forme di gioco e il repertorio ludico risulta monotono e scarso.
L’espressione ludica è la strada mediante la quale il bambino sperimenta i contatti interpersonali e sociali, soddisfacendo la propria curiosità e la terapia psicomotoria offre al bambino stesso un valido contesto nel quale sentirsi libero di agire, senza la paura del giudizio dell’adulto, senza il timore di compiere passi sbagliati, senza vivere lo sguardo indagatore dell’adulto che renderebbe colpevolizzante il suo gioco.
Opposto al gioco-risorsa, in terapia si possono riscontrare situazioni in cui il gioco appare restio al mutamento. In tali casi il gioco non si sviluppa da un incontro all’altro, ma viene riproposto alla stessa maniera, (questo può succedere che duri anche mesi!), con una invarianza nei contenuti. La resistenza del bambino, e quindi l’evoluzione ludica, è il segnale di conflitto tra la paura del cambiamento, il timore di non sapersi confrontare con situazioni che coinvolgono aree funzionali troppo deboli con le quali mettersi “in gioco” ed il processo terapeutico stesso.
Nella terapia psicomotoria al bambino viene permesso di vivere la sua spontaneità all’interno di uno spazio in cui le azioni si rispecchiano negli occhi dell’adulto capace di stargli vicino e sostenerlo nel difficile percorso del cambiamento.
I contenuti della terapia psicomotoria sono proposti mediante scopi e modi, ben differenti dalle prestazioni, le performance! Il movimento è un mezzo per armonizzare lo sviluppo della persona e non un fine! Teniamo conto delle particolarità di qualunque individuo: età evolutiva, personalità, limiti legati alla patologia. Ciò che deve prender vita nella seduta terapeutica è la sollecitazione delle potenzialità espressive, le “aree sane” di ciascun paziente.
Una parte importante, prima di qualunque tipo d’intervento, dovrà essere l’osservazione e la valutazione del soggetto che non dovrà solo limitarsi alle competenze specifiche di ognuno, ma dovrà riguardare tutti gli ambiti dello sviluppo e lo stile emotivo ed affettivo. Se da una parte è fondamentale capire quali siano le abilità maggiormente evolute, le aree di forza, dall’altra quelle più compromesse, le aree di debolezza. In tutto questo, evitando che il bambino venga “spezzettato” in mille funzioni separate, perdendo di vista l’essenza più autentica.
E’ necessario che la valutazione avvenga in un contesto ludico, affettivamente positivo, ricco nella relazione, in cui il bambino si senta accettato e non giudicato. Il tutto deve avvenire all’interno di uno spazio chiuso e separato da altri, adibito esclusivamente alla rilevazione dei dati.
Nell’osservazione e nella valutazione di un bambino ciò che deve prevalere, da parte di un terapeuta, è la curiosità di capire come funziona quel bambino; occorre essere attenti e pronti a rispettare i tempi e le modalità comportamentali di chi abbiamo di fronte; accettare, come spesso succede, la scarsa collaborazione, la non voglia di fare…e alla condivisione di ciò che si compie nello spazio.