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IL LINGUAGGIO NELLA SINDROME DI DOWN

Neuropsicomotricità

IL LINGUAGGIO NELLA SINDROME DI DOWN

La sindrome di Down, conosciuta anche con il nome di trisomia 21, è tra le sindromi più conosciute e tra l’altro occupa un posto importante in quanto dà un notevole contributo alla popolazione dei ritardati mentali.

In questa sede ciò che interessa di tale sindrome non è l’aspetto clinico, anch’esso importante, ma approfondire, per quanto possibile, l’aspetto del linguaggio nei bambini che ne sono affetti.

Lo sviluppo cognitivo e comunicativo dei bambini Down pone quesiti di diverso interesse, sia di ordine teorico che applicativo. In maniera particolare, ciò che suscita interesse è l’estrema variabilità nelle capacità verbali, nonostante, da premettere, uno sviluppo cognitivo e linguistico deficitario nei soggetti con questa sindrome.

Infatti, essi costruiscono frasi semplici ed hanno difficoltà fonologiche che spesso rendono poco comprensibile ciò che dicono.

Da un altro versante, le competenze cognitive non verbali: capacità grafiche, costruttive, spaziali, di ragionamento e di socializzazione sono assai simili a quelle dei bambini normali con pari livello intellettivo.

I bambini Down dimostrano marcate difficoltà nelle abilità linguistiche- verbali rispetto alle competenze cognitive, hanno maggiori abilità in comprensione piuttosto che in produzione, che risulta, in genere, più deficitaria.

Esistono anche disomogeneità in altre aree linguistiche: le capacità lessicali dei soggetti Down sono più preservate delle abilità morfosintattiche e fonologiche, in prove di comprensione e produzione, e questa dissociazione cresce con l’aumentare dell’età.

I bambini piccoli fanno un uso maggiore di gesti comunicativi rispetto a quelli normali, infatti, mentre in questi ultimi la comparsa delle parole determina una progressiva riduzione nella comunicazione gestuale, nei bambini Down la presenza simultanea di entrambe queste modalità comunicative permane a lungo.

Essi utilizzano e comprendono frasi più semplici con marcate difficoltà fonoarticolatorie. In sintesi, sembra che essi abbiano maggiori capacità in comprensione piuttosto che in produzione.

All’interno di un contesto terapeutico è utile procedere dal reale livello del soggetto per raggiungere obiettivi adeguati ai fini adattivi, cioè rispetto alle esigenze che l’ambiente propone e rispetto alle curiosità del bambino; mettere il bambino in condizione di valutare i risultati che raggiunge, saper accettare e correggere gli errori; usare modalità di facilitazione e rinforzo per ricavare strategie di soluzione; selezionare gli stimoli e, nel contempo, potenziare l’attenzione simultanea (capacità di prestare attenzione a più stimoli contemporaneamente) attraverso più canali.

Non da meno, ricordare l’importanza del linguaggio come direttivo. Il linguaggio adulto dirige l’azione del bambino, il linguaggio del bambino è direttivo e guida della propria azione.

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