Neuropsicomotricità
IL RITARDO MENTALE
Il ritardo mentale è una condizione clinica complessa caratterizzata da un deficit cognitivo e per ciò non si limita al solo disturbo cognitivo poiché, questo, produce una distorsione più o meno massiccia della personalità del soggetto e delle sue possibilità di adattamento.Un aspetto implicito nella definizione del ritardo mentale è la possibile eziologia del quadro clinico. Si attribuiscono le cause a fattori genetici, alle alterazioni che colpiscono l’embrione o il feto in epoca prenatale, a problemi nella fase perinatale( es. prematurità o basso peso alla nascita), esposizione, da parte della madre, ad agenti tossici, bevande alcoliche, fumo, droghe; a noxe postnatali, a fattori psicosociali o ad altri disturbi psichiatrici(es. autismo).
C’è da ricordare che, secondo dati statistici, l’incidenza dei disturbi psichiatrici nei soggetti con ritardo mentale è nettamente superiore, circa sei volte, a quella dei soggetti normodotati.
Il ritardo mentale è la via finale comune di diversi processi che coinvolgono il Sistema Nervoso Centrale e i criteri diagnostici che lo stabiliscono sono tre:
- un funzionamento intellettivo significativamente inferiore alla norma
- un’importante compromissione del comportamento adattivo in almeno due delle dieci aree definite da DSM IV(manuale di classificazione dei disturbi mentali dell’Associazione Psichiatrica Americana)
- un esordio prima dei 18 anni di età.
La compromissione del comportamento adattivo , cioè la capacità da parte del soggetto di affrontare richieste della vita quotidiana, viene considerata conditio sine qua non per la diagnosi, per cui non può esser fatta diagnosi di ritardo mentale in sua assenza, anche se è presente un QI(quoziente intellettivo) inferiore al livello soglia. In questi anni, forse anche per l’innalzamento delle condizioni educative della popolazione, nei soggetti con ritardo mentale si riscontrano buone prestazioni specifiche, come acquisizioni di nozioni ed abilità, in assenza di un pari sviluppo delle capacità adattive. Per una corretta valutazione diagnostica è fondamentale valutare:
- il QI(quoziente intellettivo)
- le competenze sociali ed adattive del soggetto
- anamnesi familiare e personale. Il ritardo mentale su base psicosociale interessa, in genere, tutti i membri della stessa famiglia, mentre quello su base neurobiologica è presente in uno o due membri.
I meccanismi del disturbo cognitivo
Una maniera per esplorare il ritardo mentale consiste nel comprendere la natura della differenza tra soggetti normodotati e quelli con deficit ed un’altra, tra una concezione evolutiva, secondo cui il funzionamento cognitivo è caratterizzato da un rallentamento ed un arresto a livelli inferiori rispetto alla norma, ed una strutturale, secondo il quale esistono differenze qualitative tra soggetti normali e ritardati per quanto concerne l’aspetto strutturale del funzionamento cognitivo. Il grado di compromissione nelle diverse aree è omogeneo, con aree di forza ed aree di debolezza. Esistono aree di funzionamento più o meno sviluppate, ma è molto raro trovare aree di funzionamento del tutto normali. Quando si notano aree di funzionamento particolarmente evolute, queste sembrano essere divise dalla organizzazione cognitiva generale e quindi poco integrabili in un comportamento cognitivo “intelligente”.
Si possono individuare, nel ritardo mentale, difficoltà nell’estendere l’uso in compiti non familiari, ad esempio, di fronte ad una certa strategia in uso in una situazione nuova, quale componente usare, come apprendere nuovi compiti.
Il problema della carenza di strategie nei soggetti con ritardo è una componente fondamentale nel ritardo mentale poiché mina la costruzione di un sistema conoscitivo di base nel soggetto ritardato. Infatti, in soggetti ritardati, si registrano, ciò si nota in maniera particolare in riabilitazione, difficoltà nel mantenimento in memoria di strategie acquisite ed estenderne l’uso in situazioni diverse da quelle di apprendimento.
Attenzione e metacognizione
Lo sviluppo cognitivo da un lato avviene nel senso di una minore dipendenza da schemi innati ed automatici, dall’altro mediante una progressiva automatizzazione di competenze determinata dall’apprendimento, che libera spazi mentali e quote d’energia per attivare processi cognitivi più attivi e complessi. Dall’equilibrio tra consapevolezza ed automatizzazione nasce il comportamento cognitivamente adattivo. Per dimostrare la buona capacità di imparare a svolgere compiti anche complessi, i fattori metacognitivi non sono un elemento costante ma dipende dal tipo di compito, dalle conoscenze che il soggetto ha su un certo ambito. Dinanzi a situazioni nuove o complesse è di particolare importanza l’ausilio di un supporto metacognitivo capace di creare condizioni favorevoli di apprendimento. Quindi, accanto alle competenze strategiche appare necessaria una adeguata organizzazione delle conoscenze di base.
Competenze adattive
L’adattamento si riferisce alla capacità del soggetto di “situarsi in una determinata nicchia, così come di cambiare il proprio comportamento in seguito alle richieste poste da una determinata situazione”. Le capacità richieste per l’adattamento all’ambiente sono tante e variano in funzione di molteplici fattori che interagiscono: ambiente, età del soggetto. Ogni individuo possiede diverse competenze nelle diverse aree ed è normale che alcune di queste possono essere più sviluppate di altre, riassunte in: intelligenza pratica ed intelligenza sociale. Per intelligenza pratica vengono riassunte tutte le capacità richieste per la gestione autonoma della vita quotidiana(igiene personale, cura della casa,ecc); mentre per intelligenza sociale vengono riassunte tutte quelle competenze necessarie per stabilire in maniera appropriata le relazioni sociali( capacità di comunicare, di controllare le proprie emozioni, di percepire le emozioni degli altri,ecc).
Queste due manifestazioni dell’intelligenza, sono elementi fondamentali per costruire la capacità adattiva dell’uomo. Da queste basi dipende la capacità di un individuo di sviluppare una vita autonoma, di trovare e mantenere un lavoro, di stabilire relazioni affettive, di costruirsi una famiglia, di svolgere attività gratificanti.
L’intervento riabilitativo
Il punto più importante è fare precise distinzioni tra competenze di grado, complessità e finalità tra loro molto differenti. Nessuna potenzialità neuropsicologica può essere attuata senza che vi sia l’elemento esperenziale a farla da padrona. Per esempio, la capacità di porgere la mano(si potrebbero fare altri esempi) non ha luogo se il bimbo non fa questo tipo di esperienza, perché, grazie all’esperienza, il soggetto acquista, ovviamente in maniera inconsapevole, un programma suscettibile di modificazioni. Questo vale per tutte le conoscenze. Sovente, i genitori, implicati in un programma terapeutico, sottovalutano la necessità, da parte del figlio, di apprendere capacità e commettono degli errori tra cui: dare per scontato che il loro bambino sia in grado di fare quanto viene richiesto, sottovalutare la necessità di facilitare la conoscenza per consentire a quel bambino di immagazzinare l’informazione, per un tempo che potrebbe risultare assai lungo(è una preoccupazione dell’adulto!), sostituirsi a lui nell’esperienza, che è solo del bimbo, per la paura che “si possa far male”.
Alcune competenze neuropsicologiche, però, hanno bisogno non solo dell’esperienza, ma anche dell’apprendimento, come per esempio la scrittura, la lettura. Si tratta di attività che hanno in comune: un substrato organico nel SNC(sistema nervoso centrale), la necessità di essere accese dall’esperienza ed un diverso percorso.
L’intervento, quasi sempre sotto forma di esercizio, ha ben poche possibilità di creare una competenza per la quale non esistono i presupposti! Ma può avere il suo peso nel determinare il processo di stratificazione esperenziale o consentire il reperimento di qualche mezzo facilitante. Intervenire è sempre opportuno, qualche volta necessario, mai sufficiente. E’ lecito pensare se l’”esercizio” lo si intenda come una sorta d’intervento volto a potenziare, mediante la ripetizione, uno schema neuropsicologico competente. Questo vale proprio nei casi di gravità, in cui la dimensione da attivare è quella di base, legata direttamente alle strutture nervose, e non quella costituita da schemi “culturali” per i quali, invece, la ripetizione ha senso in quanto familiarizza, suggerisce strategie relative ad un contesto simbolico. Su queste basi, ritengo che l’intervento riabilitativo è spesso necessario ma raramente, in sé, una maniera sufficiente.
La valutazione ed il trattamento del ritardo mentale non può prescindere dalla constatazione della grande variabilità che esiste tra sindromi diverse e, spesso, all’interno dello stesso quadro eziopatogenetico. Approcci indifferenziati, basati solamente sulla valutazione del quoziente intellettivo, non sono più giustificati, così come quei trattamenti allungati nel tempo senza alcun obiettivo mirato, verifiche periodiche e tempi di realizzo chiaramente specificati( le linee guida per la riabilitazione obbligano tutti gli operatori ad operare in tal senso).
Da non dimenticare: la realizzazione di una corretta diagnosi funzionale più precisa del bambino, facilita la progettazione e la realizzazione di un intervento riabilitativo mirato alle singole necessità del paziente.
Una corretta valutazione, da ripetere periodicamente, è importantissima per verificare i cambiamenti spontanei oppure, come il bambino utilizza tali cambiamenti ed in che maniera, ovvero, quali le strategie operative mette in atto. Il compito del terapeuta è quello d’interessarsi delle funzioni adattive per l’adempimento di uno scopo, cioè di quei complessi sistemi dinamici. Una persona è tanto più normale quanto più le sue funzioni sono in grado di adattarsi, modificandosi, rispetto ai cambiamenti dell’ambiente e dell’obiettivo. Tale abilità presuppone, ovviamente, la capacità di prevedere, ipotizzare, immaginare e rappresentarsi l’effetto dei propri atti, delle proprie azioni. Questo, per un bambino con disabilità intellettiva è assai difficile, in quanto mancano proprio tali capacità. L’obiettivo primario in un progetto terapeutico è, per l’appunto, quello di far raggiungere al soggetto queste abilità; significa anche mettere il paziente in condizioni di selezionare e dare significato al lavoro a cui è sottoposto, lavorando sempre ad un livello di consapevolezza in qualunque situazione esperenziale.
L’intervento, strettamente collegato alla valutazione, determina:
- La capacità del bambino di apprendere ed imparare ad un livello più alto; quindi potenziare l’utilizzo di strategie personali di compenso per la soluzione dei compiti.
- Regolazione delle modalità richieste dal terapeuta per mettere il bambino in condizione di migliorare la sua prestazione
- Programmare l’intervento più adatto per concedere al bambino di trasferire le abilità acquisite a diversi settori, anche nella vita quotidiana!!(elemento, questo, ancora oggi sottovalutato da molti terapeuti). Infatti, obiettivo d’eccellenza in riabilitazione è promuovere la migliore qualità della vita e per il bimbo e per la famiglia.
Un buon inizio per renderci conto dei rapporti che esistono tra mente e corpo, psiche e cervello, è l’analisi del movimento, ovvero di quelle funzioni motorie che ci consentono le azioni più disparate: scrivere, lavorare, camminare , guidare la macchina… I movimenti non sono puro meccanismo, ma un mezzo per ottenere qualcosa. Essi danno forma alla mente e attività come il linguaggio si sviluppano in quanto i movimenti sviluppano la logica della mente, le insegnano cosa sia il primo ed il dopo, i nessi di causa ed effetto(Oliviero 2001).